A Sanremo 2009 Iva Zanicchi cantò un pezzo su una donna e la ricerca di sesso senza amore. Pioggia di critiche per un pezzo che sa di attualità
In un’epoca in cui la ricerca di riferimenti alla lotta femminista, in qualunque ambito, è dritta e costante – anche nella musica – quando si parla del Festival di Sanremo tra i primi brani a venire in mente troviamo “Siamo donne” di Sabrina Salerno e Jo Squillo, rivendicazione scanzonata in rosa, ma solo una manciata di anni fa al Festival Iva Zanicchi, una delle grandi signore della nostra canzone, presentò un brano che avrebbe potuto avere tutti i connotati per diventare un manifesto della battaglia femminista e dell’autodeterminazione delle donne, libere di scegliere per se stesse, ma nessuno lo capì.
Siamo nel 2009, al Festival di Sanremo viene chiamato Paolo Bonolis per il suo secondo mandato in carriera alla guida dell’imponente kermesse. Giunto in Riviera per risollevare le sorti di un Festival che arrivava dall’edizione meno seguita della sua storia, quella del 2008, il conduttore, per la selezione dei brani da spedire in gara, ritrovò al suo fianco Gianmarco Mazzi, come già fu nella prima volta di Bonolis a Sanremo, nel 2005.
Sedici gli artisti in gara con rispettive canzoni che, a dirla tutta, non resero certo l’edizione 2009 del Festival una delle più indimenticabili sul piano musicale. Di ritorno a Sanremo, a sei anni dalla precedente e per la decima volta in carriera, c’era anche Iva Zanicchi. L’Aquila di Ligonchio, che la kermesse l’aveva vinta già tre volte – nessun’artista donna come lei – si trovava in Riviera per celebrare la sua carriera e promuovere un nuovo album di inediti, “Colori d’amore”. Per farlo si affidò alle mani di Franco Fasano e Fabrizio Berlincioni, che confezionarono per lei una ballata piuttosto particolare.
La canzone s’intitolava “Ti voglio senza amore”, protagonista era una donna che, stanca delle continue delusioni d’amore, decide di assorbire dalle relazioni soltanto il lato fisico e meramente passionale, lasciando perdere i sentimenti. “Ti voglio senza amore perché una volta tanto io voglio pensare a me”, cantava Zanicchi. La canzone all’epoca fece discutere se non altro perché ad interpretare un testo, che in alcuni punti era anche più spinto e sensuale – “Ti voglio senza amore, ma dammi tutto il resto. Fai quello che ti piace però non finire presto” – c’era una donna di 69 anni, che per anni era diventata un simbolo per le famiglie grazie alla popolare trasmissione televisiva “Ok! Il prezzo è giusto” e questo, nell’Italia dell’etichetta a tutti i costi, non poteva essere accettabile.
Il monologo di Benigni e le controversie
Ciò non sfuggì all’attenzione di Roberto Benigni che, ospite la prima sera di Sanremo 2009, nel suo monologo punzecchiò la cantante e soprattutto il brano in gara, deridendone il contenuto. Il tutto mentre Iva Zanicchi si trovava in camerino in attesa di giungere sul palco per presentare la canzone per la prima volta al pubblico. La cantante in seguito fu molto critica verso ciò che accadde sul palcoscenico prima della sua esibizione.
L’intervento, per quanto potesse risultare poco rispettoso nei confronti dell’artista, fu sbagliato specialmente nei termini della competizione. Il monologo infatti arrivò in scena prima dell’esibizione, che sarebbe stata giudicata dalla giuria demoscopica, che ne decretò poi l’eliminazione temporanea. Tutto ciò andò ad alimentare la polemica su una possibile gara falsata da cui a uscirne con le ossa rotte fu proprio Iva Zanicchi, che nelle serate a venire non venne ripescata dal voto popolare.
Del caso se ne parlò anche a L’Arena di Massimo Giletti, con Vittorio Sgarbi, presente all’Ariston per il tradizionale momento di confronto sulla kermesse appena conclusa, difese Iva Zanicchi: «Benigni è venuto qui a fare politica pagato, lei invece gratis», ma stroncò il brano in gara definendolo sgrammaticato. Nonostante ciò, sotto più aspetti, è arrivato il momento di dire che quella “Ti voglio senza amore” fu una grande canzone, probabilmente una delle migliori dello sconfinato repertorio dell’aquila di Ligonchio.
Una struttura musicale possente, per quanto classica, che attingeva a piene mani dal blues da cui la cantante, d’altronde, arrivava agli esordi. Un testo intenso che probabilmente se avesse vestito un’altra interprete, verso cui certe tematiche sono state sempre sdoganate agli occhi del pubblico – una di queste, Patty Pravo – forse il corso della storia sarebbe stato diverso. Eppure guardando indietro tutto sembrava al posto giusto, e lo è tutt’oggi. Una traccia sulla rivendicazione di una donna ferita di consumare l’amore tra le mura di una camera da letto, senza l’obbligo di mettere sul piatto un cuore già preso a pugni troppe volte.
Ah… i cari vecchi Festival di Sanremo. Quelli in cui una canzone poteva essere ancora in grado di fare scandalo. Fortuna che col tempo, alla fine, la musica rimane e non appassisce mai.