Ogni Mannarino che abbiamo ascoltato fino ad oggi è stato sempre migliore del precedente. L’album “V” è l’ennesima conferma di un’artista in costante crescita ed evoluzione

La meraviglia di perdersi, con gli occhi che traboccano di bellezza, negli angoli verdi e straordinari dell’Amazzonia. Viaggiare negli universi dell’uomo e della donna che si confrontano, si scrutano e si miscelano. Tutto questo comodamente seduti sul divano con un paio di auricolari, e il nuovo album di Mannarino a tutto volume. “V“, questo il nome della nuova fatica discografica dell’artista romano, è la chiara rappresentazione di un cantautore che in oltre dieci anni di carriera, e cinque album alle spalle, non ha mai conosciuto una parabola discendente, una virgola fuori posto. Ogni Mannarino che abbiamo ascoltato fino ad oggi è stato sempre migliore del precedente.

V” è un album che grida l’essenza pungente della donna, e lo fa sin dalla (bellissima) copertina, che unisce la figura femminile con la resistenza indigena. Resistenza, una parola che ricorrerà spesso nella mente ascoltando questo album. Parola che si siede di fianco, anche se a debita distanza, dalle sedici che danno anima e corpo al disco. Tutte con la “v”: Venere, Voce, Vita, VentreValore, Volume, VelenoViolenza, Villaggio, VertebreVagina, Vulcano, VagabondaVento, Vene e Vegetazione. Un disco pronto a scattare, questo di Mannarino, che in silenzio non ci sta, e che una volta partito accompagna per mano con decisione in una realtà evanescente, dura e struggente.

Il brano che apre le danze è “Africa“, una «dichiarazione d’intenti», com’è stata descritta dallo stesso Mannarino e che apre le porte di un viaggio tra i continenti, tra territori inesplorati ed altri dove soltanto la mente è capace di spostarsi. Una delle canzoni migliori di questo album, che non poteva aprirsi certo in maniera migliore. Note, quelle di “Africa” che hanno il sapore di un’esortazione a sporcarsi le mani, ad abbassare il passamontagna (come la protagonista della copertina, anche se si lascia a varie interpretazioni) e ad essere reattivi. Sempre e comunque.

Trovare punti deboli in “V” non è impresa facile, considerata la qualità, già di per sé innata, di Mannarino, ma anche perché si tratta di un album coeso, che parte e va dritto al punto dalla prima fino all’ultima traccia, “Paura“, che invita chi ascolta a lasciarsela alle spalle, quella maledetta paura. Nel mentre accade di tutto. Mondi si svelano, tribù si scoprono e i suoni s’impadroniscono dell’apparato uditivo, prendendo in pugno la mente e facendone quello che vogliono. Tra i momenti salienti di questo quinto capitolo del cantautore c’è anche il singolo “Cantarè” che fonde italiano, spagnolo e romanesco e fa comprendere come ognuno sia solo, ma la propria voce è un uragano, e unirla insieme a quella degli altri può essere capace di squarciare il cielo.

Di pregio anche l’esperimento di “Banca de New York“, “Vagabunda“, e la carica di “Ballabylonia“. Tra i dischi migliori dell’anno? Mannarino come sempre fa gara a parte, sa come veicolare i propri messaggi, specialmente nel suo disco più politico. Cresce, si trasforma, s’arrampica su vette che in pochi altri colleghi possono toccare, si guarda intorno e trova solo tanta bellezza lasciata alle spalle. Aspettative che non potevano mai essere deluse, per questo “V“, e infatti così è stato.

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Giornalista salernitano iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Campania. Colleziono compulsivamente dischi e mi piace scrivere con la musica ad alto volume.

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