Intorno alla morte prematura di Payne il mondo intero sembra chiedersi solo una cosa: “è caduto…o si è buttato?” Una domanda secca che non muove solo l’attività degli inquirenti ma anche l’animo di fan e curiosi. Un interrogativo bollato ora come legittimo ora come morboso che invece è, più semplicemente, inutile.
Ecco perché.
Ci sono degli aggiornamenti sulla tragedia che ha stroncato la giovane vita di Liam Payne, l’ex One Direction morto lo scorso 16 ottobre.
Stando alla versione più accreditata dagli investigatori, Liam sarebbe accidentalmente caduto dal balcone dell’albergo Casa Sur, a Buenos Aires, nel pieno di un delirio provocato dalle droghe assunte. Una conclusione anche dimostrata dal fatto che il musicista non abbia assunto, al momento dell’impatto, una postura di protezione. Sì perché pure se decidi di buttarti – “È caduto…o si è buttato” – la forza della vita prevale e il tuo corpo mette in atto condotte di protezione automatiche. Il corpo di Liam no ed è per questo che si presuppone uno stato di incoscienza, almeno parziale, al momento della tragedia.

Questa deduzione trasforma l’episodio in un qualunque fatto disgraziato e imprevedibile che ha strappato l’esistenza a un ragazzo pieno di vita? No, permettetemi di dire.
Il distacco dalla vita non è per forza un volo volontario da un balcone, è molto di più.
L’autodistruzione spesso non è questione di un attimo, è piuttosto un lento e inesorabile processo.
Liam Payne può anche non avere scelto di porre fine alla sua esistenza quella sera, da quel balcone, ma questo non vuol dire, come dimostrato dalle sue condotte degli ultimi anni, che l’esistenza volesse tenersela stretta.
In virtù di questa complessità,“È caduto…o si buttato” non è solo un interrogativo legittimo o morboso ma è soprattutto inutile.
Liam Payne non stava bene da tanto, troppo tempo, e l’aveva pure detto chiaro e tondo. Nel 2021, per esempio, aveva fatto coming out durante un’intervista per il podcast Diary of a Ceo:
Negli anni degli One Direction avevo paura di non riuscire a capire quando avrei toccato il fondo. Pensavo che se l’avessi raggiunto nessuno l’avrebbe notato. Sono bravo a nascondere queste cose. Ci sono cose di cui non ho mai parlato, avevo un problema. Poi ho capito che avevo bisogno di darmi una regolata. La mia faccia era stravolta dalle pillole e dall’alcool, non mi piacevo per niente.
DEPRESSIONE E TOSSICODIPENDENZA: CAUSA O EFFETTO?
Liam Payne soffriva di disturbi depressivi e, in generale, di alterazioni della salute mentale che, come spesso accade, andavano a braccetto con dipendenze di vario tipo.
Il rapporto che c’è tra la stronza (permettetemi di chiamare così la depressione, una stronza che conosco bene) e le sostanze psicotrope è un rapporto molto stretto, biunivoco, in cui difficilmente si si riesce a indicare una causa e un effetto.
Insomma, torniamo gli interrogativi: “è nato prima l’uovo o la gallina”?
La depressione può essere innescata dall’uso di sostanze (per fatti chimici che non sta a me spiegare), ma può essere anche vero il contrario, ossia che una persona depressa sviluppi dipendenze da droghe o alcol proprio in virtù della sua condizione mentale. Oppressi dall’incapacità di svolgere le normali attività quotidiane, dalla perdita di interesse per ciò che prima era piacevole, dalle manifestazioni psicosomatiche e dal senso costante di ansia o vuoto – tutti sintomi della stronza -, si può cercare sollievo nei paradisi artificiali generati dalle sostanze.
Ed è inutile dire che si tratta di un cane che si morde la coda: gli effetti collaterali delle sostanze psicotrope aumentano la depressione e l’aumento della depressione aumenta l’abuso. La spirale da cui è impossibile uscire è così creata e il processo di autodistruzione, di distacco lento e inesorabile dalla vita, è così avviato.

In entrambi i casi (depressione causa e sostanze effetto/sostanze causa e depressione effetto), non si tratta di “capricci da star” ma di una malattia vera e propria. O meglio di due malattie che vanno oscuramente di pari passo e per cui spesso si parla di “doppia diagnosi”.
Anche se ultimamente stava cercando di darsi quella che banalmente chiamiamo “una ripulita”, Liam Payne aveva abusato per anni di alcol e droghe per cercare di gestire la folle febbre collettiva generata dal fenomeno One Direction. Una band da 70 milioni di dischi venduti, sulla bocca di tutti, una di quelle per cui le ragazzine impazziscono, una band di divi bambini.
Non analizzerò i problemi più recenti di Liam Payne ma mi fermerò al passato. Tanto basta, anche perché i traumi più grandi si formano spesso quando si è giovanissimi.
Ai tempi della band, la soppressione della vita privata, i ritmi di lavoro estenuanti, l’esposizione continua, la mancata tutela del benessere psicologico (in ragazzi appena appena maggiorenni), il possibile senso di inadeguatezza e inferiorità rispetto ai colleghi, la pressione continua avevano scavato nell’artista una voragine, un vuoto da riempire.
E poco ha importato con cosa Liam Payne riempisse quel vuoto, tra pillole e bicchieri pieni. L’importante era che lo riempisse, o che almeno ci mettesse una toppa, e continuasse a performare. A oltranza, a qualunque costo. Perché ogni inciampo sarebbe costato migliaia, milioni di dollari. E cos’è un vuoto, uno squarcio aperto dentro, una vita appannata, al cospetto di un tale giro d’affari? Quanto conta un individuo, la singola pedina di un gioco, un personaggio forse costruito a tavolino, nella cifra totale di un business enorme? Quanto conta poi, quando tutto è finito, la dignità di un individuo o dei suoi resti se si possono guadagnare soldoni pubblicando foto di un corpo esanime?
L’interrogativo questa volta non è inutile e la risposta è semplice: zero.




