Emma si prende una pausa e, parlando dei motivi della sua scelta, diventa un po’ la bandiera di una nuova tendenza: emanciparsi dal workaholism per ritrovare il proprio benessere psicologico
“Ho bisogno di dormire, di fare cene con gli amici, di respirare e di godermi quello che è accaduto dall’uscita del disco in poi” – l’ha detto chiaro e tondo Emma Marrone dopo il suo concerto al Forum di Assago, lo scorso 11 novembre.
E nemmeno un’eventuale chiamata sanremese le farebbe cambiare idea, con buona pace di Carlo Conti.

La cantautrice salentina ha deciso di tracciare una mappa precisa dei suoi bisogni, tutte esigenze che attengono al benessere fisico e mentale e che finalmente sembrano conquistare la priorità sugli impegni serrati e sull’assolutismo tossico della performance.
Emma, con queste dichiarazioni e con il suo innegabile potere comunicativo, spiana così una strada che è già stata tracciata da altri prima di lei. Sangiovanni, Kekko dei Modà e, per restare tra le quote rosa della musica italiana, da Angelina Mango. L’erede dell’indimenticabile Pino, un po’ per stanchezza vocale un po’ per stanchezza e basta, dopo gli sforzi di Sanremo, Eurovision, promozione e concerti in lungo e in largo ha infatti detto “regà, dateme tregua” (cioè, non ha detto proprio così, ma il senso è quello) e ha annullato il suo tour autunnale.

E se state pensando che questa stanchezza riguardi solo gli attori dello showbusiness, vi state sbagliando. Sì, l’industria musicale può essere un ambiente particolare, competitivo e spietato, fatto di ritmi inumani e di tiraggio olimpionico della corda, i cui protagonisti sono succosi limoni da spremere fino a spappolarne finanche la zeste per servirli sul piatto ghiotto dei numeri, delle vendite.
Ma anche gli altri ambienti lavorativi e sociali non scherzano. A volte il nostro contesto lavorativo, con il suo modernissimo obbligo di iper-performance, è capace di fagocitarci, di farci dimenticare la vita oltre la professione, di metterci al tappeto. E altre volte, imbibiti fino al midollo di pregiudizi sociali che antepongono l’essere qualcuno all’essere e basta, ci mettiamo al tappeto da soli.
UNA NUOVA DIPENDENZA: IL WORKAHOLISM
Avete mai sentito parlare di workaholism? Lo so, è un altro inglesismo che forse non ci meritavamo ma si tratta del termine più noto per indicare la dipendenza da lavoro. L’effetto principale è quello di vivere ossessionati dal lavoro, aspetto della vita che assume il ruolo di perno esistenziale, a scapito del tempo libero, dei rapporti umani, spesso della salute (soprattutto mentale).
Chi ha questa dipendenza, una delle “new addictions” tracciate dagli ultimi orientamenti della psicoterapia, è incapace di controllare l’impulso a lavorare o a compiere attività connesse al lavoro e percepisce il lavoro come unica vera fonte di gratificazione e di affermazione della propria autostima, finendo per compromettere la propria vita personale.
Non che ci sia qualcosa di sbagliato a dedicarsi con impegno alla propria professione e ad essere ambiziosi: il problema sorge quando – come accade sempre più di frequente nella società contemporanea – si crea un disequilibrio nel bilanciamento tra lavoro e salute mentale.
E per sapere se siete arrivati a questo punto, basta fare attenzione ai sintomi. Perché, come avviene per qualunque altro disturbo, anche il workaholism ha i suoi sintomi: troppe ore dedicate ad attività lavorative, preoccupazioni e pensieri costanti attinenti al lavoro, riduzione o eliminazione di qualsivoglia hobby, utilizzo del lavoro per gestire sensi di colpa, ansia, forte irritabilità, difficoltà a dormire, agitazione psico-motoria, stato di allerta continuo, dolori fisici (mal di testa, mal di stomaco, dolori addominali, mal di schiena).
Bella merda, no?
Ora, è vero che ogni workaholic ha la sua storia, le sue cause scatenanti e quindi la sua cura, ma ci sono alcuni toccasana piuttosto unanimi per contrastare questo disturbo: prendersi una pausa – datevi il tempo di farvi passare ‘sta mega sbronza! – e magari consultare un professionista della salute mentale per capire perché siamo finiti in questa trappola.
Emma docet:
Le ultime settimane sono state serrate, le giornate organizzate al minuto. Questo è quello che comporta la preparazione di un tour che voglio sia una grande festa, frutto di entusiasmo, tanta concentrazione e impegno collettivo. Ma non devono mancare momenti di leggerezza e di benessere. Prendermi un momento di detox fra una prova e l’altra mi ha permesso di affrontare al meglio lo stress del periodo senza che ne sentissi l’eccessivo peso, sia fisico che mentale. La chiave è tutta lì, nell’equilibrio.
Grazie, Emma. Ci rivediamo presto, anzi con calma quando sei pronta.




