S’è ritrovato, dopo anni bui in cui «mi trovavo in panni che non mi appartenevano» e con i Follya, Alessio Bernabei ha ritrovato la forza di comunicare attraverso la musica.
In questa intervista parliamo con lui del singolo “Don’t cry”, dei suoi Sanremo e dei social-ghigliottina

Con i Follya, Alessio Bernabei ha ritrovato il suo pubblico. Quello degli esordi, quello che cantava a squarciagola che Domani è un altro film, mentre quelli che allora si facevano chiamare Dear Jack, conquistavano le classifiche già tra i banchi della scuola di Amici. Di tempo ne è passato, di cose ne sono successe e anche la musica è cambiata, anche se oggi arriva al pubblico in una forma più autentica, lontana dalle sovrastrutture di una discografia imponente e a volte tritacarne.

Con il singolo Don’t cry Alessio Bernabei, insieme ad Alessandro Presti e Riccardo Ruiu – i restanti membri dei Follya – canta di quella mascolinità imposta, quasi obbligata dalle logiche di una società violenta. “Piangi tu, ci può pure stare / Piangiamo tutti, è depressione“, canta Alessio Bernabei, a ricordare come anche i maschi, pure gli esemplari più puri e inscalfibili, possono contrarsi su se stessi e, semplicemente, piangere.

In Don’t cry, insieme ai Follya, porti un tema dirompente, se analizzato in un’ottica maschile, nella scena musicale contemporanea: la mascolinità a tutti i costi. In una società stereotipata come quella moderna, è giusto ricordare come le emozioni siano uguali per tutti…

Ci tenevo a sottolinearlo perché ci sono passato in prima persona. Ho passato degli anni bui, anche io sono caduto in stereotipi e in certi modi di fare aderenti a una società che ti voleva in un determinato modo e in trend che imponevano maschi super-uomini a tutti i costi. Negli ultimi anni questa cosa la si sta combattendo e anche il femminismo, a suo modo, può aiutarci in questo. Ciò mi rende molto felice perché quella roba lì agli uomini fa molto male, l’ho vissuto sulla mia pelle, trovandomi a vestire panni che non mi appartenevano.

Presentando questo nuovo singolo hai detto: “Gli artisti dovrebbero riflettere sui messaggi che veicolano” e mai come nell’ultimo periodo s’è parlato molto di questo. Trovi che nel mainstream attuale ci si dimentichi troppo spesso che dall’altro lato, molto spesso, ci sono menti flebili che possono essere molto condizionate da ciò che si comunica attraverso una canzone?

Credo che tutto ciò sia frutto di una distopia della società di oggi. Non sono un uomo vissuto, non ho vissuto i momenti di rottura che ci sono stati nel ‘900, gli anni delle grandi rivoluzioni del punk, del grunge, Woodstock. Tuttavia credo che si sia rivivendo un periodo buio come quelli e l’arte va di pari passo alla negatività che c’è nell’aria. La nostra generazione non intravede un futuro florido davanti a sé e ciò si riversa nell’arte. È dunque facile trovare superficialità nelle canzoni perché stiamo vivendo un momento molto superficiale, meno incentrato sulle emozioni, ritenute quasi “cringe”.

Bisognerebbe riconnettersi a un piglio di più reale e autentico, anche nella musica, dunque?

Il punto è che anche ciò che dicono i “trapperini” è reale. Incolparli? Sì, perché comunque un artista ha la responsabilità di veicolare dei messaggi sani attraverso la musica, il problema però è che la società là fuori è ancora peggio di ciò che dicono loro nei testi.

“Don’t cry” dei Follya

Di recente hai avuto modo di fare “mea culpa” su alcune dichiarazioni fatte in passato, attraverso i social, che non dimenticano. Non c’è il rischio che i social possano triturare quelle personalità, anche molto giovani, che non hanno le spalle forti?

I social per qualcuno possono essere anche una ghigliottina. Il social dimentica, ma dipende anche il problema che hai intorno a te. Basta pensare al fenomeno Ferragni, che non è stato certo dimenticato. Il fatto è accaduto oltre un anno fa, ma ancora se ne parla. Il web è un’arma molto potente. Ricordo a quel Sanremo del 2017, quando venni coperto da insulti, evidentemente perché avevo un approccio che stonava con me stesso. Ero “il cantante col ciuffo, yeah”, oggi mi tingo di biondo, ma so di voler comunicare cose reali e il pubblico se ne accorge, sa riconoscere ciò che è “real” e cosa è finzione.

Siamo ancora nella scia dell’ultimo Festival di Sanremo, di cui tu hai partecipato a tre edizioni passate: 2015, con i Dear Jack, e 2016 e 2017 da solista. Come le hai vissute?

Le ho vissute di merda! (ride, ndr) Scherzo. Sanremo è la cosa più grande che abbiamo in Italia, la finale del SuperBowl per un cantante italiano. Farlo a vent’anni, quando è sempre stata una tradizione di famiglia, mi ha fatto sicuramente crescere e così anche per i miei compagni. Quando finisce pensi dentro te “non lo farò mai più”, perché è un inferno. Ci sono i tre minuti dell’esibizione, ma intorno ci sono interviste tutto il giorno, conferenze stampa in cui ti bullizzano e fanno di te ciò che vogliono.

In sala stampa c’è e accade di tutto…

Sei un essere umano in pasto a qualcosa di grandissimo e forse a vent’anni non ero del tutto pronto, come testimoniano alcune gaffes e scivoloni presi. L’imbarazzo e la vergogna erano tanti, ma tutto ciò mi ha fatto crescere. Oggi probabilmente sarei più pronto e maturo per affrontarlo.

Alessio Bernabei Sanremo 2017
Alessio Bernabei al Festival di Sanremo 2017

A novembre 2023, il primo disco con il progetto Follya. Adesso c’è un nuovo album all’orizzonte?

Stiamo procedendo con dei singoli per raccontare un capitolo per volta e dirigerci verso una direzione che possa essere coerente con noi stessi, quindi è un po’ presto per parlare di album. Vedremo poi se fare, come fanno tutti, il Greatest Hits dei singoli (ride, ndr), di certo però non vogliamo fermarci più. Ci siamo fermati un anno, prima di questi nuovi singoli, e fermarsi nel 2025 è doloroso perché poi devi ricominciare quasi dal principio. Vogliamo pubblicare nuova musica e suonare live il più possibile.

Che risposta avete trovato dal vostro pubblico, a questo ritorno?

Fortunatamente abbiamo uno zoccolo duro che ci segue dopo tanti anni, alcuni proprio dagli inizi, quando erano dei teenager. È bello perché ti danno uno stimolo per mettercela tutta, aspettano tanto da te e non vuoi deluderle. Oggi ce la viviamo in maniera più anarchica rispetto al passato, esprimendo ciò che siamo. D’altronde il tuo pubblico è lo specchio di ciò che sei e trovo sia questo a rendere lungimirante un progetto.

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Alessio Bernabei (al centro) è frontman dei Follya

Ideatore e fondatore di 4quarti Magazine. Scrittore e giornalista salernitano iscritto all’Ordine dei Giornalisti della Campania. A dicembre 2023 pubblica "Nudo", il suo primo libro. «Colleziono compulsivamente dischi e mi piace scrivere con la musica ad alto volume».

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